La lotta, i movimenti e i partiti
La manifestazione degli “indignados” italiani, purtroppo inquinata dalla violenza, si è svolta in un quadro internazionale, contro il potere globale della finanza e delle banche.
Su questa protesta, dopo ciò che abbiamo visto in Spagna, si è scritto molto, anche negli Usa, dove è iniziata con la contestazione a Wall-Street. Ieri, in un’intervista a Repubblica, Danielle Mitterand (87 anni e presiede l’associazione France Libertés) dice che «indignarsi è giusto anzi: necessario». Io, che ho la sua età, condivido il suo giudizio, anche quando osserva che i giovani “di oggi”, per cambiare il mondo, dovranno «prima cambiare se stessi». Si riparla di cambiare il mondo e, come dice la Mitterand, di «promuovere un pensiero di vera rottura del capitalismo… mettendo al centro una sola cosa: il rispetto della vita».
Ma - ecco la domanda che dobbiamo farci - dopo questa e altre manifestazioni, quale sbocco politico prevedibile ha il movimento degli indignados?
Danielle Mitterand nota che nei giovani che manifestano non c’è una delusione per politica ma per come viene concepita e praticata. E osserva che i giovani non si riconoscono negli «attuali partiti che ormai sono diventati palestre per ambizioni e carriere di alcuni dirigenti». Questo è vero, solo in parte. Sappiamo anche che le manifestazioni hanno sempre un senso politico: ma qual è l’approdo?
L’anziana vedova di Mitterand, (ha però una sua storia politica), ritiene che «la morte dell’attuale modello economico porterà alla scomparsa dei vecchi partiti e la partecipazione democratica avverrà soprattutto attraverso le reti, sarà una politica più orizzontale».
Ho ripreso testualmente questa opinione perché è quella che anche in Italia, e in altri paesi, si fa avanti, è presente nel dibattito che si svolge non solo nelle reti.
Io, invece, temo che queste opinioni su un futuro della democrazia che ignora l’oggi allontanino i giovani dallo scontro politico che si sta svolgendo fra i partiti, e nei partiti, in tutto il mondo. Cioè, temo una separazione dei movimenti dal concreto svolgersi della lotta politica tutta a vantaggio della conservazione. La «morte dell’attuale modello economico», di cui parla la Mitterand, non è dietro l’angolo, ma ovunque si discute cosa fare per introdurre riforme incisive al «modello esistente», per impedire catastrofi sociali e tentare vie di sviluppo che mettano al centro il «rispetto della vita».
Io non penso, come altri, che il capitalismo sia l’ultima categoria della storia dell’umanità. Ma come, e quando, potrà essere superato? Nella mia giovinezza pensavo di saperlo. La storia però, e non da ora, mi ha fatto capire che non ci sono scorciatoie e occorre lottare per il progresso, i diritti, tendere all’uguaglianza degli uomini e delle donne, e gradualmente modellare la società per dare risposte anche parziali a questo cammino. È quel che ha fatto nel secolo scorso il riformismo socialista. Ed è quello che, nelle mutate condizioni del mondo, potrà fare ancora il riformismo socialista con un partito fatto di uomini e donne in carne e ossa, che si incontrano, non solo in Rete, ma in tante sedi: a discutere, a manifestare, a lottare, ad opporsi, a decidere e a governare.
Ai giovani che manifestano, direi: «Senza questo percorso, dopo le manifestazioni, ci sarà solo la conservazione del «modello esistente». È stato sempre così. E oggi questo scenario è presente soprattutto in Italia, dove manca una grande forza riformista e il vecchio modello conservatore ha assunto connotati che deformano il volto della democrazia e sporcano la politica. Occorre reagire. E si può fare impegnandosi a rinnovare i partiti, senza negare la loro storia. In questo quadro ricordiamo agli smemorati che i partiti socialisti sono strumenti, costruiti su progetti politici per modificare i vecchi modelli. I partiti, tutti, vanno governati, modificati e rinnovati con la lotta politica e la partecipazione, anche con i movimenti. Se si vuole mantenere e alimentare un regime democratico, garante di ogni progresso, non ci sono altre strade.
Emanuele Macaluso, da "Il Riformista"
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