domenica 9 ottobre 2011

I GIOVANI SEPARATI DALLA POLITICA (di Emanuele Macaluso)

«Le difficoltà dei giovani debbono preoccuparci, senza di loro non c’è sviluppo, rischia il futuro del paese». Ieri, tutti i giornali, hanno ripreso queste parole pronunciate da Mario Draghi nel suo intervento svolto all’Abbazia di Spineto, nel corso del seminario organizzato dall’“Intergruppo parlamentare di sussidiarietà”, che fa capo a due autorevoli esponenti della maggioranza e della opposizione, rispettivamente del Pdl e del Pd: Maurizio Lupi ed Enrico Letta. Sottolineo il ruolo dei due parlamentari per il discorso che voglio fare. Le parole di Draghi sembrano una ovvietà per chi guarda come vanno le cose nel nostro paese, ma se hanno avuto l’eco a cui ho accennato significa che il tema è scottante e ognuno avverte di essere corresponsabile del fatto che un’intera generazione è tagliata fuori dal mercato del lavoro, così com’è oggi, in un paese dove le previsioni dicono che nei prossimi anni non ci sarà sviluppo.
Cosa pensano i giovani di questa drammatica realtà e cosa fanno per uscirne? È una domanda a cui è difficile rispondere, e non solo perché sono vecchio. Ieri sono stato all’Università di Tor Vergata di Roma nella facoltà di ingegneria (in Italia una delle più qualificate) dove si laureavano in elettronica undici giovani, tra cui il figlio di mia moglie. Cinque di questi ragazzi hanno ottenuto il 110 e lode, altri dei 110 senza la lode, nessuno meno di 107. Tutti presentavano tesi che avevano attinenza con innovazioni per la produzione di strumenti sofisticati che utilizzano l’elettronica. Quel che mi ha colpito nei giovani che gremivano l’aula era l’interesse per una materia, di cui io non capisco nulla, che segna la rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo. Sono migliaia i ragazzi che operano in questo e in altri campi con impegno, interesse e rigore, e ci sono tanti professori bravi, colti e dediti al loro lavoro.
In quell’aula mi chiedevo: tutti questi giovani cosa pensano della politica? A me sembra che vivano un mondo pieno di interessi e separato dalla politica. Domanda che si pone se vai in altre facoltà. Discorso, da fare se vai in una fabbrica, in un luogo di lavoro.
Anche in quelli dove si lavora in nero per pochi euro e si può anche morire. Mi capita spesso di frequentare aule universitarie dove si svolgono seminari sulla storia politica del Paese e trovo sempre tanti giovani impegnati, curiosi, studiosi di storia e dottrine politiche e colgo, diversamente da altri luoghi, che matura in loro anche un interesse politico ma non di fare politica. Semmai vogliono fare i giornalisti. Io non so se vi capita di osservare i giovani che anche in questi giorni protestano per le condizioni in cui si trova la scuola pubblica: protesta squisitamente politica, di opposizione al governo, ma si ferma lì, non va oltre.
Potrei fare molti altri esempi con altri riferimenti, ma tutti pongono un problema: e la politica? E i partiti che sono o dovrebbero essere le sedi in cui la protesta e la proposta, il desiderio e la volontà di fare prevalere alcuni valori e ideali si traducono in politica e organizzazione del dissenso e del consenso, dove sono? Le parole di Draghi, le argomentazioni di studiosi, dei sindacati, della Confindustria e di tante altre organizzazioni - che ritroviamo anche nelle analisi e nelle denuncie dei vescovi - chi e come li traduce in un conflitto politico che produce discussioni politiche? Queste domande faccio a Maurizio Lupi e a Enrico Letta, organizzatori del seminario cui ho accennato. Ma anche esponenti del partito del presidente del Consiglio (si fa per dire) e del partito più forte (di consensi) dell’opposizione.
Perché tanti giovani, in fabbrica e nelle scuole, in cerca di un lavoro o di studiare e ricercare, non avvertono più di militare in un partito per esprimersi e fare valere desideri e diritti?
D’altro canto se non c’è la sede politica tutto si esaurisce nella protesta o nella rassegnazione. È la politica che dobbiamo cambiare, sono i partiti che debbono diventare partiti, sono le sedi istituzionali, a cominciare dal Parlamento, che debbono essere quel che la Costituzione prescrive.
Questo cambiamento, però, dovrebbe essere in mano ai giovani, non per guerriglie generazionali, ma per modificare i connotati che oggi la politica, e i partiti che debbono esprimerla, hanno. Se c’è un presidente del Consiglio, capo e padrone di un partito, che fa battute su «Forza gnocca», c’è qualcosa di guasto nel profondo a cui rimediare subito. È così o no, on. Lupi?

 

da "Il Riformista": I giovani separati dalla  politica.

 

 

mercoledì 28 settembre 2011

Maroni ci perde la faccia (di Marcello del Bosco)

(da Il Riformista : http://www.ilriformista.it/stories/Prima%20pagina/409539/)

Inutile cercare sulla Padania una sola riga sul voto di oggi alla Camera sulla mozione di sfiducia per il ministro delle politiche agricole Saverio Romano, sospettato di collusione con ambienti mafiosi. E si capisce bene perché. L’imbarazzo in casa Lega è alle stelle: avendo già proclamato Bossi che i lumbard salveranno il ministro risulta lampante che, pur di coprire Berlusconi, la Lega è pronta ad ingoiare un rospo gigantesco e a sottoporsi al più classico dei voti di scambio. Con tanti saluti agli umori della base, alle solenni promesse di fare “piazza pulita” dei trafficoni, e agli ardori di innovativa trasparenza dei cosiddetti maroniani, categoria che più che allo spirito sembra aspirare al materiale.

E certo per il ministro dell’Interno si prospetta una giornataccia. Non si tratta di votare sull’arresto di un parlamentare (e quindi rifugiarsi nella propria coscienza) bensì di esprimersi sulla opportunità politica che resti al posto dove è stato innalzato dal premier in cambio dei voti scilipotiani un ministro per cui il Gip ha sostanzialmente chiesto il rinvio a giudizio, su cui addensano fosche nubi (ultima, l’ammissione del braccio destro di Ciancimino di aver elargito 50 mila euro a Romano) e sulla cui nomina il capo dello Stato aveva espresso inequivocabili riserve. E meno male che proprio ieri Maroni ci ha fatto sapere che l’FBI copia i nostri metodi antimafia…

Con quali argomenti Bossi motiverà il voto della Lega dinanzi ai propri elettori non è dato sapere. Le corna, il dito medio, il gesto dell’ombrello o le pernacchie? Ma alle capriole del senatur ormai non bada nessuno. Più difficile per Maroni salvare la faccia ed evitare che il popolo padano adotti un altro motto romano. Quello che recita: “il più pulito ha la rogna…”

mercoledì 21 settembre 2011

Varese ha ancora bisogno dei socialisti!

Vi riproponiamo il dibattito sui socialisti tra Marco Giovannelli (direttore di Varesenews) e Giuseppe Nigro (Segretario del PSI provinciale di Varese):

Giovannelli 1
De Biase
Giovannelli 2
Nigro

lunedì 4 luglio 2011

Le PMI di Varese e il fallimento della politica leghista


A metà anni Ottanta a dialogare con la PMI impresa in provincia di Varese erano i socialisti. Il progetto Varese 2000 aveva fra i suoi estensori il prof. Francesco Forte, erano anni di crescita di quel mondo produttivo molecolare che rivendicava ruolo rispetto alla grande azienda, al tempo, in piena crisi.
I vent'anni intercorsi dal crollo della prima Repubblica che hanno visto piccoli imprenditori e artigiani varesini riconoscere nella Lega Nord il partito di riferimento sembrano al termine. Il recente convegno di CONFAPI Varese, tenutosi a Villa Ponti, il 24 giugno 2011 è stato piuttosto schizofrenico. Il convegno si è caratterizzato per un format che avrebbe dovuto tributare il trionfo della classe dirigente leghista, non a caso il titolo dell'iniziativa recitava: "Le piccole e medie imprese tra federalismo e legalità", temi su cui il ministro Maroni ha costruito le sue fortune. In realtà nonostante i toni garbati evidenti erano le critiche presenti nella relazione introduttiva del presidente Franco Colombo.  
"Un governo ha dichiarato nel suo intervento Colombo - che permette il mantenimento del reato penale per Iva non versata superiore ai 50.000 euro vuol dire che non ha capito il messaggio del mondo produttivo che chiede di pagare l'Iva per cassa e non per competenza..". Ulteriori critiche riguardano i costi della burocrazia, l'incertezza della giustizia civile, le mancate liberalizzazioni ha continuato Colombo.
"L'interesse pubblico - ha proseguito Colombo - non è evitare che partano aerei dall'Italia verso Shangai da Malpensa … ma impedire che bastimenti pieni di prodotti non a norma provenienti dall'estero invadano i nostri mercati e distruggano le nostre aziende". 
I presenti hanno ovviamente tributato applausi ai politici della Lega, ma si può dire che, ormai, alle favole raccontate per vent'anni incominci a non credere più neppure lo zoccolo duro della base sociale del movimento leghista. Ciò non vuol dire che i piccoli imprenditori siano, oggi, disponibili a riprender dialoghi interrotti.
Essi ad esempio poco affrontano le differenze che esistono fra aziende che esportano e quelle rivolte esclusivamente al mercato interno. È noto, infatti, che le PMI che non guardano oltre confine sono penalizzate a causa dei minori consumi interni. Autorevoli studiosi come Giulio Sapelli sostengono inoltre che esistono “troppe imprese inutili che sarebbe più saggio e utile al sistema Paese, far fallire per lasciare spazio ad aziende più innovative e capaci di stare sul mercato".
L'affermazione è provocatoria, ma senza voler sposare tesi tanto ardite si può senz'altro affermare che il nanismo industriale che in provincia di Varese è stato un modo per narcotizzare il conflitto e indebolire la capacità di contrattazione dei lavoratori dipendenti, non serve allo sviluppo e alla crescita da più parti invocata. Di PMI, continua ad occuparsi pure Francesco Forte che individua nella scarsa attenzione delle banche e nel regime fiscale “dispersivo, non mirato alla produttività",  in una tassazione eccessivamente elevata, in fattori di costo come l'Irap”, una rigidità del mercato del lavoro eccessivi, i fattori del ritardo della ripresa.
Al di là dei climi celebrativi, che pure ci sono ancora stati nel convegno Confapi di Varese, la Lega come sindacato del territorio, dopo vent'anni, presenta un bilancio fallimentare. Forse, i piccoli e medi imprenditori non sono ancora pronti per riprendere un dialogo interrotto vent'anni fa, ma la cultura del socialismo in Lombardia e a Varese deve essere pronta per un appuntamento che forse non è lontano.

Giuseppe Nigro
Segretario Federazione PSI Varese

martedì 21 giugno 2011

L’imbroglio di Pontida (di Emanuele Macaluso)

(da Il Riformista http://ilriformista.it/stories/Prima%20pagina/399868/)



 La situazione politica italiana diventa sempre più incomprensibile e senza una prospettiva. A Pontida abbiamo assistito a uno spettacolo avvilente e inconcludente con i giornali che si dedicano a interpretare le frasi smozzicate di Bossi il quale ha provocato un rumore assordante per dire quel che Feltri sintetizza in tre parole nel grande titolo del Giornale: «Bossi non tradisce». Infatti c’è un capo, un padrone e chi dubita e si stacca dalla coalizione “tradisce”.
Fini che non accettava più il partito padronale è indicato come “traditore”. Le posizioni politiche non contano: occorre sapere se tradisci o no il Cavaliere. Ma non basta radunare alcune migliaia di persone “fedeli al piccolo capo” per dare una risposta alla crisi politica della Lega. Bossi e i suoi colonnelli non hanno capito che gli elettori che non hanno più votato il Carroccio non sono quelli di Pontida, ma una fascia larga di ceto medio, di professionisti stufi delle parole senza senso che hanno risentito domenica. Sono questi elettori che oggi si chiederanno: e ora? Siamo punto e daccapo. C’è una maggioranza raccogliticcia in cui il ricatto è “regola” accettata, un governo che non governa nulla, mentre la situazione economica e sociale appare ingovernabile.
In quale paese è possibile vedere il ministro degli interni che prende la parola a Pontida, accanto a Bossi che chiama “capo”, per contrapporsi all’Europa, considerata “nemica”, alla Nato che non fa il “blocco navale” in Libia, e, infine, grida: “viva la Padania indipendente”. E con questa base politica si autocandida alla Presidenza del Consiglio.
Abbiamo visto Ministri in camicia verde che promettono ministeri a Milano e Monza (Caldoro ne vuole uno a Napoli!), evasione di multe ai produttori di latte, riduzione di imposte e altre cose, chiedendo tutto all’”amico Giulio”. Il quale, però, nelle stese ore, tenendo conto degli ammonimenti delle agenzie di rating e della UE, va alla riunione dell’Eurogruppo in Lussemburgo, annunciando che la manovra di 40 miliardi di euro deve essere anticipata a questa estate.
Con quale governo e con quale maggioranza Tremonti vuole mettere in atto un’operazione che, a suo dire, è inevitabile per evitare, scusate il bisticcio, che il nostro paese faccia la fine della Grecia? In questo quadro scuro l’on. Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio, dice che dopo Pontida “vede una schiarita e va avanti”.

Avanti dove? È il paese che va a sbattere.

venerdì 10 giugno 2011

I socialisti all'europride!

“Non c’è motivo per condannare la libera scelta sui diversi orientamenti sessuali e le diverse forme di famiglia, ma ci sono tantissimi buoni motivi per difenderla”.
A dirlo è il segretario nazionale del  Psi, Riccardo Nencini, che annuncia la partecipazione di una delegazione della segreteria nazionale al corteo organizzato da EuroPride l’11 giugno- che partirà alle 14 da Piazza dei Cinquecento e si snoderà lungo il centro di Roma per arrivare attorno alle 20 a Circo Massimo- e invita militanti e simpatizzanti del Psi a mobilitarsi per prenderne parte. Alla manifestazione parteciperà anche una delegazione della FGS con il suo segretario nazionale, Luigi Iorio.
“Sosteniamo convintamente  la causa della comunità LGBT – continua il leader socialista- perchè non sia più oggetto di pregiudizi, discriminazioni o atteggiamenti omofobici e per difendere e riaffermare i principi di libertà e diritto a vivere liberamente il proprio orientamento sessuale e di genere, da sempre parte integrante dei valori e delle idee dei socialisti italiani ed europei.

lunedì 6 giugno 2011

I socialisti varesini contro la terza pista a Malpensa

Riesplode il dibattito sulla terza pista di Malpensa dopo la presa di posizione contraria di AssAereo, l'associazione dei vettori legata alla Confindustria.
La questione dell'aeroporto di Malpensa ha da sempre visto la classe politica della provincia di Varese in posizione subordinata a quella milanese. La classe dirigente leghista aveva già dimostrato la sua subalternità a Berlusconi al tempo del ritiro di Alitalia da Malpensa. Non uno dell'inner circle di Bossi si è premurato di tutelare l'economia locale.
Che dire dunque? In Lombardia il quadro politico del potere locale va modificandosi. La vittoria di Giuliano Pisapia a Milano sicuramente apre nuovi orizzonti e una gestione più oculata delle risorse pubbliche. La vittoria del centrosinistra guidato da Edoardo Guenzani a Gallarate consente di rivedere antichi e abusati rapporti fra la metropoli lombarda e le città vicine.
Noi socialisti siamo convinti della necessità di interrompere le politiche pubbliche che hanno deturpato e consumato in modo scriteriato il territorio della provincia di Varese. Una terza pista non serve, né all'aeroporto, né allo sviluppo del territorio. Farebbe soltanto la felicità di grandi imprese costruttrici, della speculazione. Serve invece un piano per la gestione funzionale degli aeroporti della Lombardia; più che farsi concorrenza essi dovrebbero specializzare le rispettive funzioni al servizio della regione e dell'intero Nord Italia. Per realizzare un simile piano occorrono opere infrastrutturali di collegamento, ancora oggi, poco sviluppate.
Riteniamo fin d'ora che enti locali e provincia si debbano mobilitare per tutelare il territorio. Alcuni giorni fa, all'assemblea annuale dell'Univa, l'industriale Cuccinelli, in un moto di compiacenza cercava di stabilire analogie fra il territorio varesino e quello umbro, dove opera la sua azienda. Nessun ha osato rispondergli che la provincia di Varese non può più permettersi di utilizzare neppure un centimetro del suo territorio a fini speculativi, pena la distruzione definitiva dei tratti morfologici di un ambiente già oggi seriamente compromesso.